Cenni storici sulla tanatoprassi
I trattamenti condotti di volta in volta dall'uomo sui cadaveri, sono stati costantemente ispirati e giustificati da influenze culturali e religiose, per questo motivo non è semplice esaminare le varie forme di sistemazione e distruzione dei cadaveri, nel corso delle varie epoche e culture.
Il culto dei defunti, ha delle tradizioni antiche e radici molto profonde; vi sono tracce indelebili di pratiche di conservazione dei corpi di popoli come Egiziani, aborigeni d'Australia, tribù Incas d'America ecc.
Le tecniche di conservazione delle salme quindi, sono nate circa 5000 anni fa, epoca nella quale vi erano credenze religiose egiziane, che esigevano la conservazione del corpo come condizione indispensabile per la risurrezione.
La Tanatoprassi, come tecnica di conservazione dei corpi, è stata messa a punto nella sua forma completa tardivamente, e cioè intorno alla metà del XIX° secolo. Per poter descrivere brevemente l'evoluzione di questa tecnica, è indispensabile però presentare, seppure per grandi linee, ciò che ha preceduto la Tanatoprassi e che, ancora oggi da molte persone viene confusa: l'imbalsamazione.
Tale metodo di conservazione, era utilizzato in modo molto elaborato già presso gli egiziani e Incas, due civiltà millenarie molto evolute, possiamo capire perciò il suo interesse culturale e sociale.
La pratica dell'imbalsamazione (etimologicamente mettere in un balsamo) era riservata a degli specialisti che avevano compiti ben definiti, posti a loro volta alla sorveglianza di un esperto veterano.
Le tecniche utilizzate erano differenti a seconda degli usi e delle possibilità delle famiglie dei defunti; il trattamento riservato ai grandi, presupponeva piante e ingredienti di ogni tipo, la macerazione del corpo, svuotato prima delle sue viscere e messo poi in un bagno di natron per 70 giorni.
Praticabile a tutti invece, era la semplice macerazione di tutto il corpo, essa avveniva immergendo lo stesso, in un bagno di salamoia per lo stesso periodo di tempo; il risultato era la mummificazione del cadavere, con lo scopo della sua conservazione perpetua.
Successivamente esso veniva avvolto in apposite bende, si concludeva così la pratica dell'imbalsamazione e si procedeva disponendo il corpo in un sarcofago di pietra, una volta chiuso, veniva esposto in piedi nella tomba.
Il fine ultimo dell'imbalsamazione egiziana, come tutte le imbalsamazioni successive, era quello di conservare per moltissimo tempo, l'involucro carnale dei defunti per motivi essenzialmente metafisici e credenze nella metempsicosi (trasmigrazione dell'anima da un corpo all'altro).
La differenza degli obiettivi messi a punto, si radicarono quando si studiarono sperimenti condotti da Iannal, Suguet, Dupre, Larskowski, Brunetti e Rrichardson, metodi che consistevano soprattutto, in una iniezione nel sistema arterioso di una soluzione di sali, ciò per la conservazione nel tempo, dei tessuti e dei principali organi.
La semplicità e il carattere altamente igienico di tale procedimento, attirò a se l'interesse di seguaci di oltre oceano come il Dott. Holmes di Brooklyn che, con l'assistenza di un allievo di Iannal, divulgò questo metodo di conservazione, indispensabile in seguito, in caso di rimpatrio dal campo di battaglia durante la guerra di successione.
Un evento importante, fu la fondazione negli Stati Uniti, intorno al 1880, della prima scuola d'insegnamento dei moderni procedimenti di Tanatoprassi, grazie al Prof. D. H. Clarck.
In conclusione, possiamo dire che le moderne pratiche di conservazione, sono dettate da esigenze diverse rispetto all'imbalsamazione degli antichi, infatti i metodi attuali, rispondono a un bisogno differente dal passato; essi sono destinati soprattutto a un livello igienico completo ed efficace per il periodo della veglia funebre.